Onorevoli Colleghi! - La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 dagli Stati membri del Consiglio d'Europa, fa parte integrante dell'ordinamento giuridico italiano, essendo stata resa esecutiva nel nostro Paese dalla legge 4 agosto 1955, n. 848.
      Nell'ambito delle disposizioni della citata Convenzione, immediatamente applicabili in Italia e che garantiscono ai cittadini diritti soggettivi perfetti, particolare rilievo assume il complesso di norme che garantiscono il cosiddetto «diritto ad un processo equo» (articolo 6 della Convenzione). I diritti soggettivi in oggetto, oltre che davanti al giudice nazionale, possono essere fatti valere davanti all'organo sovranazionale competente, ovvero la Corte europea dei diritti dell'uomo, avente sede a Strasburgo.
      In particolare, l'articolo 6 della Convenzione prevede il diritto di ogni persona a un'equa e pubblica udienza entro un termine ragionevole davanti a un tribunale indipendente e imparziale costituito dalla legge, al fine della determinazione sia dei suoi diritti e dei suoi doveri di carattere civile, sia della fondatezza di ogni accusa penale rivolta. Viene ribadito il principio della non colpevolezza dell'accusato fino a prova contraria.
      In relazione alle garanzie di difesa, il paragrafo 3 dell'articolo 6 della citata Convenzione, garantisce all'accusato, tra l'altro, di essere informato, nel più breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, del contenuto

 

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dell'accusa elevata a suo carico; di disporre del tempo e delle facilitazioni necessari per preparare la sua difesa; di difendersi personalmente o con l'assistenza di un difensore di sua scelta e, in caso di mancanza di mezzi economici, di godere dell'assistenza gratuita di un avvocato d'ufficio quando lo esigono gli interessi della giustizia; di interrogare o di far interrogare i testimoni a carico e di ottenere la convocazione e l'interrogazione dei testimoni a discarico nelle stesse condizioni dei testimoni dell'accusa.
      D'altra parte, l'introduzione del principio del «giusto processo» nell'articolo 111 della Costituzione italiana - sancito con la legge costituzionale 23 novembre 1999, n. 2 - rappresenta un significativo traguardo del nostro ordinamento giuridico, volto a garantire la costruzione di un sistema in cui un giudice terzo e imparziale possa assicurare in tempi ragionevoli l'applicazione del diritto, in un processo rispettoso dei valori costituzionali e fondato sul contraddittorio tra parti che operano in condizioni di parità.
      Occorre, peraltro, proseguire nel processo riformatore sul terreno delle garanzie processuali, al fine di garantire il pieno esercizio del diritto di difesa.
      Da tale punto di vista si deve rilevare che, nel caso di censura da parte della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo di una sentenza di un giudice italiano (che ai fini dell'ammissibilità del ricorso deve essere passata in giudicato) per violazione dei diritti di difesa del cittadino, attualmente il codice di procedura penale non riconosce la possibilità di chiedere la revisione della sentenza di condanna.
      Come è noto, l'istituto della revisione - disciplinato dal titolo IV del libro IX del codice di procedura penale (articoli 629 e seguenti) - rappresenta un mezzo straordinario di impugnazione, principalmente diretto alla tutela dell'interesse pubblico alla riparazione dell'errore giudiziario nonché a quello del soggetto nei cui confronti sia stata assunta una erronea decisione. Incidendo sulla cosa giudicata, tale rimedio è soggetto a una disciplina particolarmente rigorosa. Attualmente, la revisione può essere chiesta esclusivamente per quattro motivi, tassativamente individuati dall'articolo 630 del codice di procedura penale, tra i quali non rientra il caso in cui la Corte europea abbia accertato che nel corso del giudizio sia stato violato l'articolo 6 della citata Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.       Conseguentemente, nel caso in cui la Corte di Strasburgo censurasse una sentenza italiana per violazione dell'articolo 6 della medesima Convenzione - ad esempio, per un'ingiusta limitazione del diritto di difesa - la sentenza non potrebbe essere oggetto di revisione nell'ordinamento giuridico italiano, non essendo contemplata tale ipotesi tra i casi di revisione, risultando così preclusa al cittadino italiano la possibilità di ottenere una nuova pronuncia che possa fare giustizia.
      Occorre pertanto prevedere una ulteriore ipotesi di revisione del processo penale, in ragione della necessaria osservanza degli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la firma della citata Convenzione, i cui contenuti sono di immediata applicazione nel nostro Paese, anche al fine di armonizzare ai nuovi princìpi sanciti dall'articolo 111 della Costituzione la vigente disciplina processuale contenuta nel codice di procedura penale. Peraltro, occorre sottolineare che anche gli altri ordinamenti si sono adeguati a quanto stabilito dalla Convenzione: si pensi che in Francia la legge n. 2000-516 del 15 giugno 2000 ha introdotto - al titolo III del codice di procedura penale - gli articoli 626-1 e seguenti in tema di riesame di sentenze penali definitive a seguito di pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo.
      Del resto, lo stesso articolo 2 della legge delega per l'emanazione del nuovo codice processuale penale (legge 16 febbraio 1987, n. 81) stabilisce al comma 1, che il «codice di procedura penale deve attuare i princìpi della Costituzione e adeguarsi alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia e relative ai diritti della persona e al processo penale».
 

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      In questa prospettiva la presente proposta di legge introduce la possibilità di chiedere la revisione di una sentenza di condanna in tutti i casi in cui la Corte europea dei diritti dell'uomo rilevi con sentenza che il cittadino non sia stato in condizione di esercitare il suo diritto a una effettiva difesa.
      Il testo della proposta di legge riprende, senza apportarvi modifiche, il testo unificato approvato dalla Camera dei deputati nel corso della XIV legislatura (atto Camera n. 1447-1992-A). Si tratta pertanto di riprendere il lavoro già svolto dalla Camera dei deputati nella scorsa legislatura e garantire una effettiva ed efficace applicazione della citata Convenzione europea sui diritti dell'uomo, prevedendo tra i casi di revisione contemplati dall'articolo 630 del codice di procedura penale la possibilità della revisione del processo a seguito di sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.
 

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